Oro oggi

Il mistero francese

I titoli di stato francesi valgono quello che costano?

a cura di Phastidio

MALGRADO UNA CONGIUNTURA che peggiora a vista d’occhio, malgrado conti pubblici sempre più deteriorati a causa della crisi, malgrado annunci di manovre correttive fatti di aumenti d’imposta tali da provocare una fuga nottetempo dei contribuenti più agiati e delle imprese, le quali a loro volta strepitano per ottenere lo spostamento sulla fiscalità generale di 30-50 miliardi di euro del cuneo fiscale sul costo del lavoro come ultima spiaggia per evitare delocalizzazioni selvagge e licenziamenti di massa, i titoli di stato francesi sono sugli scudi: le aste vanno benissimo, i rendimenti si muovono di conserva con quelli tedeschi, lo spread sul decennale si è stabilizzato contro Bund intorno a cento punti-base. Cosa ci sfugge?

Difficile dare risposte nette, siamo nel campo delle pure congetture: ad esempio, non dimentichiamo che nel cuore dell’Europa opera una enorme centrale distorsiva, la Banca Nazionale Svizzera. Costretta a comprare euro in quantità illimitate per mantenere agganciato il franco svizzero alla quota 1,20 contro la moneta unica, rischia seriamente di essere travolta dagli aggregati monetari e gettare la spugna rovinosamente. Riproducendo tecniche cinesi di manipolazione del cambio, la banca centrale svizzera si trova costretta ad investire gli euro di cui viene in possesso, proprio come la People’s Bank of China faceva coi dollari, comprati per impedire l’apprezzamento dello yuan (tempi che furono, ora è praticamente finito pure quello).

E cosa comprare, con tutti quegli euro, per ridurre il rischio e diversificare? Non solo Bund, Obl e Schatz tedeschi, che hanno ormai rendimenti negativi o nulli sulla parte breve ed intermedia della curva dei rendimenti. Ecco, quindi, che potrebbe benissimo darsi che la Banca Centrale Svizzera si metta a comprare Oat, Btan e Btf francesi, soprattutto sulla parte a breve, per ridurre il rischio d’interesse. Il titolo francese a un anno rende lo 0,05-0,02 per cento, quello biennale è a 0,17-0,14 per cento, il quinquennale rende l’1 per cento. E’ solo un’ipotesi, beninteso. Ma la teniamo ben presente per rispondere a questo enigma, anche perché l’alternativa a questa chiave di lettura è data dalle solite seghe mentali tipiche del commentariato italiano mainstream e da social network su quanto è bravo Hollande a rassicurare i mercati. Viviamo in un mondo di squilibri, vediamo di non aggiungere anche torme di squilibrati con le loro correlazioni che diventano causalità.

Riguardo l’euro, inoltre, molti analisti si grattano la testa da tempo, non riuscendo a comprenderne la forza. Anche l’ultimo gradino all’ingiù, degli ultimi giorni, sembra poca cosa rispetto ad una crisi esistenziale che potrebbe distruggerlo. Alcuni osservatori sostengono che la banca centrale cinese starebbe comprando euro per frenarne l’indebolimento contro lo yuan, ricordando che l’Eurozona è il primo partner commerciale di Pechino. Mossa futile ma non incomprensibile, viste le crescenti difficoltà dell’economia cinese, che pare ormai avviata ad un hard landing e a scordarsi il magico numero sette (per cento) di crescita del Pil che serve per evitare aumenti di disoccupazione che sarebbero molto pericolosi, soprattutto considerando che a ottobre il Politburo si rinnova per sette dei suoi nove membri.

Comunque sia, affermare che l’Eurozona è un generatore di distorsioni, a cui partecipano altri noti distorsori globali, non è così avventato. E quanto alla Francia, i suoi titoli di stato ci appaiono “oggettivamente” carissimi.

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