Oro: meglio il metallo o i titoli auriferi?
Quale opzione performa meglio a lungo termine?
Di Giuseppe Trucco - TruccoFinanza.it
L'ARTICOLO di Brent Cook che ho tradotto e pubblicato sul sito sito dipingeva un quadro piuttosto fosco della situazione dei titoli auriferi (e le stesse considerazioni potrebbero essere estese a tutti i titoli minerari), in particolar modo evidenziava la minore performance dei titoli auriferi rispetto all’oro. Un commentatore ha colto il paradosso ed ha chiesto lumi su quale possa essere allora il senso di investire in titoli auriferi, se questi sottoperformano il metallo giallo nelle fasi di salita del prezzo, anziché amplificare il rialzo con un effetto leva. E’ un tema che merita un approfondimento.
Iniziamo a fare un ragionamento astratto. Quando nel 2006 il sottoscritto si era “appassionato” di metalli preziosi, la mia idea fu subito quella di preferire i titoli che li producevano rispetto all’investimento diretto (nonché di preferire molto presto i titoli dell’argento rispetto a quelli dell’oro, ma questa è un’altra storia…). Questa preferenza tradiva anche un mio personale istinto speculativo probabilmente, nel senso che ricercavo qualcosa che potesse rendere ancora di più dell’oro (e non essendo io appassionato di derivati sull’oro le azioni aurifere erano l’opzione più appagante) nonché una deformazione professionale verso la diversificazione (con l’investimento diretto in metalli preziosi c’è poco da diversificare…). Principalmente però, il mio ragionamento era il seguente. Se il prezzo dell’oro sale del 10%, poniamo da 600 a 660$ l’oncia (i prezzi di allora…), una compagnia che produca oro al costo medio di produzione di 300$ l’oncia e che prima aveva un margine di guadagno di 300$ l’oncia, avrà ora un margine di guadagno di 360$, cioè un 20% più alto. Viceversa se il prezzo dell’oro scendesse di un 10% una compagnia aurifera vedrebbe mediamente ridursi i suoi margini del 20%. Ergo, i titoli minerari (sia auriferi che non) dovrebbero avere un effetto leva significativo verso il metallo che producono.
Estendendo il ragionamento con passaggi logici che non sto a spiegare, arrivai anche a pensare che in caso di rialzo del prezzo dell’oro una compagnia aurifera con miniere costose fosse da preferire ad un low-cost producer, una compagnia molto indebitata fosse da preferire ad una senza debiti, un developer fosse da preferire ad un producer, un developer di un deposito a bassa gradazione ma molto grande fosse da preferire ad un developer di un progetto ad alta gradazione ma più piccolo. E via dicendo. Soltanto le compagnie ancora nella fase esplorativa non entravano in questo ragionamento poiché esse dovevano ancora definire quante once possedessero, era una forzatura quindi stabilire che avessero un qualche effetto leva col metallo giallo. Insomma la logica mi suggeriva che i maggiori beneficiari di un rialzo del prezzo dell’oro sarebbero stati i titoli delle compagnie che possedevano le miniere o i depositi più marginalmente economici. Ho però imparato molto presto che le cose non funzionano in questo modo. Il prezzo dei metalli preziosi da allora infatti è salito eppure l’effetto leva che mi aspettavo non si è manifestato. Il prezzo dell’oro è cioè salito di più di quello della media dei titoli auriferi. All’interno del settore aurifero i titoli più performanti, in media, sono stati quelli dei produttori con elevati margini (benché già molto più costosi in partenza) o degli sviluppatori con depositi a maggiori gradazioni. Miniere marginalmente economiche quando l’oro valeva la metà di quanto vale oggi sono rimaste marginalmente economiche, depositi non economicamente sfruttabili allora sono ancora oggi non sfruttati e lasciati in stand-by perché anche i nuovi studi di fruibilità economica aggiornati ai prezzi correnti suggeriscono che sia meglio non investirci soldi per svilupparli. Perché è accaduto questo? La matematica finanziaria non si applica ai titoli minerari forse?
No, semplicemente perché i ragionamenti citati sopra erano da intendersi come ragionamenti “ceteris paribus”, ossia ipotizzando che le altre variabili dell’equazione restassero immutate. L’equazione semplificando al massimo sarebbe questa: Profitto = ricavi – costi. All’aumentare del prezzo dell’oro i ricavi delle compagnie aurifere salgono, è vero, ed i profitti dovrebbero salire più che proporzionalmente se i costi restassero fissi. Il problema è che i costi non sono rimasti fissi, al contrario essi sono saliti ancora più dell’oro!
I costi dell’energia sono saliti, i costi della manodopera sono saliti (vedendo che i profitti dell’industria mineraria salgono i minatori tendono a pretendere aumenti e fare scioperi se non li ottengono), le royalty applicate dagli stati in cui i minerali sono estratti sono mediamente saliti, i costi per estrarre oro da riserve con gradazioni medie via via calanti sono saliti, i costi esplorativi per identificare nuovi progetti economici sono saliti (poiché quelli facili da identificare, quelli con visibili indizi superficiali nelle aree accessibili, erano già stati tutti scoperti), e via dicendo. In molti insomma hanno conteso agli azionisti delle compagnie aurifere i benefici del rialzo del prezzo dell’oro. Nessuno invece, se non il proprietario diretto, può avvantaggiarsi dell’aumento del valore di una moneta d’oro o di un lingotto!
Morale: i prezzi dei titoli auriferi sono effettivamente correlati al prezzo dell’oro, ma l’effetto leva non è costante, anzi. Neppure è possibile dire che accada sempre il contrario (se fosse così investire in titoli auriferi sarebbe un controsenso), direi che ci possono essere periodi in cui l’oro sale ed i prezzi salgono ancora di più (all’incirca è accaduto questo nella prima metà degli anni 2000-2005, come si può vedere dal grafico comparativo sottostante), ma ci possono essere periodi in cui salgono meno (2006-2012). Idem in caso di calo dei prezzi del metallo.
A giudicare da questa immagine sopra, nel lungo termine sarebbero comunque stati vincenti i titoli auriferi (936% contro 536%), come infatti si evince anche dal grafico seguente, tratto dal medesimo articolo di Jason Hamlin, sul rapporto tra l’indice HUI (Amex Gold Bugs, titoli auriferi quotati all’Amex). L’indice rispetto all’inizio sarebbe comunque salito rispetto all’oro.
Ma è davvero così? Sì e no. Dipende cioè dal punto di partenza. Hamlin non ha scelto a caso l’inizio del confronto, bensì è partito da un picco negativo dell’indice verso il metallo. Spostando all’indietro anche di pochi mesi la competizione, come si vede in quest’altro grafico, tratto da un altro sito, che tra l’altro è anche più aggiornato (e riporta anche l’ultimo trimestre in cui l’indice sta capitolando letteralmente e sottoperformando nettamente l’oro), si potrebbe giungere ad una opposta conclusione, che sia l’oro cioè a risultare vincente nel lungo periodo!
Non è questa l’unica conclusione che si evince dall’osservazione dei grafici (quando non manipolati in termini di periodo scelto per fare il confronto). Ma in quanto ad analisi di grafici io mi fermerei qui: questo non è il mio “campo di azione” e mi volevo soffermare principalmente sul messaggio principale ed i suoi principali corollari, che io ho ricavato e vissuto con la mia esperienza diretta negli scorsi anni.
Proviamo a riassumere:
1) Considerando un arco di tempo sufficientemente lungo, si direbbe che il settore aurifero nel suo complesso sia perdente (di poco) rispetto all’investimento diretto in oro. Sforzandosi di considerare anche i dividendi (che immagino non siano compresi nell’indice) o magari riesaminando la questione in un momento meno negativo per l’indice degli auriferi, credo che al più si potrebbe constatare una complessiva parità. Questo nonostante una maggiore volatilità e dunque un maggiore rischio. Quindi è presente un premio al rischio nullo se non addirittura negativo! Che è come dire: “oltre al danno la beffa”. Idem se ci caliamo ad osservare il settore dei titoli più sottili (cioè meno capitalizzati): la performance delle compagnie aurifere junior, dei developer e degli explorer, nel suo complesso, è inferiore a quella delle compagnie senior, sebbene la volatilità sia superiore.
2) Dovendo essere oggettivi si direbbe che non sia dunque conveniente investire nel settore aurifero quando è molto più semplice scegliere direttamente l’oro. Allargando l’orizzonte ad altri metalli direi che lo stesso discorso vale in qualunque altro segmento del settore minerario, salvo investire in titoli che producono minerali su cui non sia possibile effettuare un investimento diretto al limite (ad esempio l’indio, il berillio, i fertilizzanti, la grafite, ecc.). Magari in futuro si verificherà una maggiore performance da parte del settore aurifero che rimetterà in discussione questa verità statistica, ma per ora mi sento di avallarla. Perché accada questa situazione è una questione che magari affronterò in un successivo articolo, per ora mi limito ad indicare come principale causa il fatto che in questo settore siano presenti molte (troppe) mele marce che danneggiano irrimediabilmente la performance complessiva.
3) Andando a tirare le somme di quanto detto sopra questo l’ovvio corollario: per chi investe in un ETF con ottica di medio-lungo termine e strategia buy & hold, un ETF settoriale a strategia passiva sui titoli auriferi non ha motivo di essere preferito rispetto ad un ETF (o meglio sarebbe chiamarlo col nome più preciso di ETC, Exchange traded commodity) direttamente legato al prezzo dell’oro (preferibili quelli “fisici”, in questa sede non sto però a dilungarmi sul perché). N.B.: attenzione a non fraintendermi pensando che vi stia indirizzando verso i fondi comuni perché “attivi”: un fondo comune a strategia attiva è una soluzione ancora peggiore statisticamente (in teoria un singolo fondo gestito benissimo potrebbe essere l’eccezione alla regola, ma non credo che esistano fondi specializzati in questa nicchia che al netto dei maggiori costi abbiano sovra-performato gli indici su un arco di tempo di 10 anni ad esempio, anche perché se io fossi una società di gestione del risparmio non vorrei “spendere” dei gestori di eccellenza su un comparto di nicchia).
4) La domanda più che legittima da porre al sottoscritto a questo punto sarebbe: “Perché tu ti ostini ad investire in titoli auriferi allora?”. La risposta è la seguente: i titoli auriferi non sono tutti uguali, per fortuna posso operare delle scelte all’interno dell’universo di titoli auriferi. Se riesco ad isolare i titoli che risultino essere nel primo quartile di performance potrò ottenere risultati molto superiori rispetto all’investimento diretto sul metallo. Non sto dicendo che sia una operazione semplice, purtroppo, semmai direi che battere significativamente e continuativamente questo benchmark è complicato. Le “mele marce” fanno di tutto per non farsi individuare al primo colpo, specialmente agli occhi di un neofita del settore, è quindi il caso di ribadirlo: chi non ha il tempo per approfondire e ricercare in prima persona il settore aurifero, è preferibile che si astenga dall’investire in titoli auriferi (ed anche su ETF o fondi comuni) e vi preferisca un investimento diretto sull’oro. Idem per quanto riguarda l’argento ed a maggior ragione* il platino ed il palladio. Investire direttamente in metalli preziosi ha pure il vantaggio di poter scegliere se optare per un investimento finanziario (tramite ETF, ETC o altri certificati che replichino la performance dei metalli) oppure per un investimento in beni al portatore (che hanno molti vantaggi di cui discuteremo in futuro).
E per chi non si accontenta? Dedicare ore ed ore ad apprendere le nozioni necessarie anche solo a poter valutare una compagnia mineraria e poi confrontare le centinaia di titoli minerari esistenti ha un costo informativo inaccettabile per la maggioranza delle persone. Ma per nostra fortuna ci sono dei bravissimi analisti indipendenti che forniscono i frutti dei loro studi ai loro abbonati. Attenzione però, gli analisti meritevoli sono una minoranza di quelli che potreste incontrare cercando a caso. Soprattutto se vi accontentaste di quelli che scrivono recensioni fruibili gratuitamente rischiereste di incappare in dilettanti allo sbaraglio pieni di entusiasmo ma poverissimi di spirito critico, oppure, ancor peggio, in analisti prezzolati sponsorizzati dalle compagnie che segnalano (pratica legale in Nord America, non so qui in Italia, purché venga indicato il conflitto di interessi), se non addirittura in fraudolenti “pump&dump-ers”. Molto meglio approfittare del lavoro di selezione che io ho già svolto per voi negli anni passati e pescare tra quegli analisti che vi segnalo nel sito, cui dedicare comunque un paio d’ore al mese come minimo. Per fruirne occorre conoscere l’inglese però, ed per maneggiare certi analisti particolarmente ostici che danno tutto per scontato è anche bene farsi una infarinatura di nozioni inerenti questo campo (è quanto cercherò di provvedervi io nella sezione “educational” ed in particolare negli articoli etichettati “edu-mining”).
Intanto su Trucco Finanza io cercherò di farvi trovare delle recensioni in italiano di alcuni titoli minerari che al sottoscritto piacciono molto.
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