Oro oggi

Oro: salvaguardare il potere d'acquisto

Le conseguenze impreviste di un apprezzamento dello yuan

Di Adrian Ash - BullionVault.it

CINQUE ANNI (E $1,7 MILIARDI IN RISERVE FX) fa, la Banca popolare cinese decise di slegare lo yuan dal dollaro.

Alla fine degli anni ’90 durante la crisi asiatica, e di nuovo all’inizio dello scorso decennio quando il dollaro iniziò un lento declino, la Cina difese la propria posizione a 8,3 contro il dollaro.
La crescita economica, e le proteste di diversi partner commerciali, resero necessario un certo apprezzamento, seppur sotto severo controllo. In quel momento, proprio come adesso, la Cina si rifiutò di rendere lo yuan scambiabile liberamente, e quindi accessibile all’investimento straniero, ma per ragioni molto diverse.

Quando nel 2005 la Cina aggiustò il valore dello yuan rispetto al dollaro, il timore era che gli speculatori del forex avrebbero causato la svalutazione delo yuan. Mentre nel 2010 il problema è opposto: vista l’importanza dell’export (e le riserve imponenti di valuta estera) mantenuto alto grazie al valore “irragionevolmente basso” della propria moneta, Pechino chiaramente teme un ripetersi della bolla giapponese che seguì l’indebolimento del dollaro in seguito all’accordo del Plaza. Dopo aver indebolito l’ancoraggio al dollaro (per quanto in misura minima) cinque anni fa, la Cina ha superato il Giappone come seconda potenza mondiale, diventando il principale importatore mondiale di rame, maggiore utilizzatore di cemento, consumatore principale di energia, oli commestibili, riso e frumento, e il secondo paese per l’acquisto di oro fisico.

La valuta cinese dovrebbe riflettere questa crescita, almeno secondo le teorie non confuciane dei movimenti delle valute e bilanciamento del commercio. Non c’è dubbio che prima o poi accadrà. Ma se al Segretario al Tesoro americano Tim Geithner fosse esaudito il desiderio espresso al meeting del G20 lo scorso weekend, e lo yuan fosse disposto a sobbarcarsi una parte della svalutazione del dollaro, l’impatto del potere d’acquisto della Cina per quanto riguarda alimenti, energia e mercati minerali non potrebbe che crescere ancora.

Geithner dovrebbe quindi considerare che l’apprezzamento del potere d’acquisto della Cina accadrà a spesa delle valute liberamente scambiabili.



Prima di tutto, Pechino detiene qualcosa come $3 miliardi di riserve nelle quattro principali valute mondiali (dollaro, euro, sterlina e yen). Secondo la legge di Gresham, è probabile che userà quelle riserve prima della propria: lo yuan è denaro il cui valore è in ascesa,  e potrà comprare sempre più cibo, più energia e risorse minerali per affrontare la crescente richiesta interna per uno standard di vita migliore.

In secondo luogo, se lo yuan estende il proprio utilizzo globale dai bond recentemente acquistati da McDonalds alle riserve delle banche centrali, la perdita relativa di potere d’acquisto per dollari, euro, sterline e yen verrà accelerata. Le quattro valute principali costituiscono da sole il 96% delle riserve valutarie secondo il FMI: è la percentuale inferiore da prima della crisi asiatica di fine anni ’90, una crisi che Pechino riuscì ad evitare, ma che ricorda fin troppo bene.



Terzo, e l’aspetto più critico durante la guerra valutaria in atto (una situazione che non potrà essere sistemata a tavolino, fino a che la politica delle banche centrali occidentali continuerà sulla strada dell’inflazione) è che è facile prevedere movimenti di capitali, non ultimi da USA, Inghilterra e Giappone, per rifuggire tassi di interesse allo zero per cento.

Al momento, la Cina sta gradualmente aprendo le porte ai capitali in uscita, in maniera però così limitata che la maggior parte dei capitali in yuan rimane bloccata. I capitali costretti in occidente cercano di conservare il proprio valore globale ma non possono avere un esposizione diretta alla valuta (e nemmeno al mercato azionario, per il momento) che è destinata a stabilire il prezzo del trend più importante del XXI secolo: lo spostamento ad oriente della domanda e del consumo globale.

Anche se la Cina liberalizzasse i mercati (e non accadrà presto) gli investitori privati saranno gli ultimi di una lunga lista. L’alternativa più vicina, per il momento, sembra essere l’acquisto di risorse tangibili. Soluzione che centra il cuore del problema, perché lo standard di vita in occidente, a causa del mutamento nel potere d’acquisto globale, è destinato a diminuire nel lungo termine. L’uso crescente delle risorse mondiali da parte dell’Asia avverrà a nostro discapito, esattamente nello stesso modo in cui la caduta della sterlina inglese da valuta dominante (iniziata circa settanta anni fa, e mai fermatasi) si è tradotta in una perdita relativa di ricchezza per gli Stati Uniti.

Chiaramente, in mezzo a questa turbolenza valutaria che, bisogna dirlo, è soltanto all’inizio, la crescente domanda d’oro e argento fisico da parte della Cina evidenziano il grande trend del XXI secolo in atto. Prima che i conti correnti in yuan siano disponibili in occidente (se mai accadrà) la quotazione odierna dell’oro, a $1.330 all’oncia sembrerà un vero affare.

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Adrian E. Ash è a capo del Reparto di Ricerca presso BullionVault, il più grande servizio di investimento in oro al mondo. Adrian ha pecedentemente ricoperto il ruolo di Editorial presso la Fleet Street Publications Ltd e di redattore economico dalla City di Londra per The Daily Reckoning; è un collaboratore regolare della rivista finanziaria per investimenti MoneyWeek. I suoi commenti sul mercato dell'oro sono stati pubblicati su Financial Times, Bloomberg e Der Stern in Germania e molte altre pubblicazioni.

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