Il vero costo della crisi bancaria
"... se solo le banche centrali se ne stessero sedute in pace e lasciassero che le banche fallissero, potrebbero far risparmiare ai contribuenti occidentali fino al 98% dei costi della pulizia che immancabilmente seguono..."
di Adrian Ash - BullionVault.it
COME RISOLVERE l'attuale crisi bancaria veramente globale?
"Aumenta i prestiti! I prestiti! I PRESTITI!", si scatena la Federal Reserve di Washington. Sta offrendo $200 miliardi di buoni del tesoro americani pluriennali ai broker di New York disperati al fine di far (ri)partire i mercati monetari di tutto il mondo.
E ora possono usare anche i mortgage-backed securities (MBS) come garanzia collaterale.
Funzionerà? Entrare nel gioco "per impegnarsi contro le pressioni dovute alla liquidità" come questa, e convincere gli amici della Fed e tutte le altre maggiori banche centrali (compresa la Banca Centrale Europea) a fare lo stesso, deve essere meglio di non fare nulla. Giusto?
Agire presto e spesso alla fin fine deve essere meno costoso. O no?
Beh, tutti quelli che sono andati a fare shopping durante i saldi di inizio anno sanno benissimo che la cosa più economica di tutte - sempre e comunque - è di non spenderlo proprio il denaro.
O, come la metterebbe un economo professionale, "non troviamo alcuna prova che una politica permissiva riduca i costi fiscali". Questo è come si sono espressi due economi senior della Banca Mondiale in un report del 2002. Hanno studiato 30 anni di crisi bancarie sistemiche in 94 paesi. Le cosiddette "crisi limite" hanno toccato 44 paesi.
E hanno scoperto che "i governi hanno speso una media di quasi il 13% del PIL per ripulire i loro sistemi finanziari" nei programmi di "salvataggio" che hanno tentato di implementare.
"Ciascuna delle misure permissive" proseguono, "sembra portare ad un significativo aumento del costo delle crisi bancarie" nonostante il "supporto di liquidità senza limiti, le garanzie generali sui depositi, ricapitalizzazioni ripetute (e quindi inizialmente inadeguate o parziali) e programmi di bail-out dei debitori."
Proprio strano, come la pizza con l'ananas, o no? Perché le sette banche centrali che questa settimana stanno per entrare nella fase di vero panico sono tutte membri della Banca Mondiale. Non solo, sono anche membri fondatori della stessa Banca Mondiale (fonadata nel 1944). E soprattutto queste banche centrali governate da Ben Bernanke, Jean-Claude Trichet, Mervyn King e tutti gli altri - sono tutte comprese in questo report del 2002.
Tutte eccetto la Banca Nazionale Svizzera, ovviamente.
1) S&L U.S.A: il crollo lento ma sicuro della Savings & Loan negli Stati Uniti ha spazzato via circa 1.400 istituti e 1.300 banche tra il 1984 e il 1991. Costo diretto per i contribuenti americani? $180 miliardi, ovvero il 3% della produzione economica annuale.
2) Le banche europee: chi lavora per la BCE non farà fatica a ricordare i salvataggi finanziari di banche in Grecia e in Italia all'inizio degli anni 90... né il fallimento del Credit Lyonnais nel 1995 costato $10 miliardi... né la crisi bancaria in Germania a metà degli anni 70...
3) Il decennio giapponese perduto: il salvataggio delle banche zombie in Giappone nel 1996 è costato oltre $100 miliardi di denaro pubblico. Due anni dopo il "piano Obuchi" è costato altri $500 miliardi di denaro dei contribuenti - ovvero il 12% del PIL in Giappone - per coprire le perdite in prestiti, ricapitalizzazioni di banche e protezione di depositari.
4) I diversi fallimenti nel Regno Unito: dalla crisi di "seconda linea" a metà degli anni 70 al collasso di Johnson Matthey nel 1984, di BCCI nel 1991, di Barings nel 1995 e ultimi in file di Northern Rock nel 2007, le autorità del Regno Unito ripetutamente non sono state in grado di veder arrivare questi problemi bancari prima di decidere di mettere mano al denaro dei contribuenti.
5) Canada, 1985: la Bank of Canada stessa ha fatto notare che il fallimento di 15 membri della Deposit Insurance Corporation (comprese due banche) è equivalso a meno dell'1% del sistema bancario totale. Eppure ha portato a prestiti di liquidità a lungo termine, basati su denaro pubblico, oltre che a 15 anni di costose lotte giudiziarie.
6) La crisi sistemica in Svezia: alla fine degli anni 90, due banche con attività corrispondenti ad un quinto di tutte le attività bancarie svedesi vennero dichiarate insolventi. Entro il 1994 cinque delle sei maggiori banche hanno dovuto affrontare seri problemi, che sono costati ai contribuenti il 4% del PIL sotto forma di aiuti governativi.
Ma i capi delle più grandi banche mondiali non leggono proprio i report dei ricercatori della Banca Mondiale?
Questo report (http://www-wds.worldbank.org/external/default/WDSContentServer/WDSP/IB/2002/03/22/000094946_0203070403315/Rendered/PDF/multi0page.pdf) può essere facilmente trovato usando Google anche dal personale con minore esperienza della Federal Reserve, della BCE o della Bank of England. Noi di BullionVault di certo non abbiamo avuto problemi a trovarlo.
Ma considerando l'attuale crollo in tutto il mondo dei mercati immobiliari, dei modelli bancari, del sistema creditizio con hedge fund e la liquidità a breve termine in seguito all'agosto dell'anno scorso (ai tempi in cui BullionVault trattava ad un terzo in meno dell'attuale prezzo), chi mai vorrebbe andare a leggere una ricerca di 113 crisi bancarie sistematiche in 93 paesi tra il 1970 e il 2000...?
Nessuno si occupa di gestire la politica monetaria o fiscale nel gruppo G7, questo è poco ma sicuro!
"Se i paesi che abbiamo analizzato non avessero intrapreso alcuna politica di supporto, i costi finanziari [alla fin fine a carico dai contribuenti] sarebbero ammontati a circa l'1% del PIL - poco più di un decimo di quello che di fatto hanno speso", scrive Patrick Hohohan e Daniela Klingebiel nel loro report pubblicato nel gennaio del 2002.
Inoltre i tentativi di supportare e salvare le banche in fallimento non hanno di certo ridotto la penuria economica che ne è derivata, secondo l'analisi di Honohan e Klingebiel. Questi finanziamenti non hanno mai risposto alle intrusioni dei governi - a meno che le banche centrali non aiutassero gli istituti bancari in crisi garantendo loro prestiti illimitati.
Questo tipo di aiuto - dato anche all'inglese Northern Rock quando si è trovata in acque decisamente cattive a settembre dell'anno scorso - è solo una parte dell'aiuto offerto ai broker di New York. Eppure "sembra aver prolungato la crisi", scrivono i due analisti della Banca Mondiale, "perché il tempo di recupero è stato maggiore" in seguito ai prestiti a banche di fatto insolventi.
In altre parole, l'unico modo sicuro per prolungare una crisi finanziaria è di tentare di posticiparla ad esempio "accollando" ai contribuenti $200 miliardi di mortgage backed loan.
"La situazione avrebbe potuto essere peggiore", dice la Banca Mondiale. Se tutti i paesi coinvolti nella crisi bancaria durante i 30 anni fino al 2000 avessero accumulato liquidità (come oggigiorno le banche centrali del G7) o una garanzia generale per i risparmiatori (come il governo inglese nel caso di Northern Rock), il costo finale del tentativo di rimediare subito alla crisi sarebbe cresciuto notevolmente.
Aggiungendo un periodo di grazia (ovvero permettere alle banche "zombie" di continuare le loro operazioni, anche se tecnicamente sono fallite), ricapitalizzazioni ripetute e bail-out, il "costo fiscale sarebbe arrivato al 60% del PIL".
Buttare "denaro buono sul denaro cattivo" è un rischio morale che tutte le nostre nonne hanno imparato ad evitare. Ma "gli altri esborsi non sono l'unico costo economico dei crolli delle banche", fanno notare Honohan e Klingebiel.
"Le perdite coperte [dai contribuenti], che sono causate da cattive decisioni di prestiti, riflettono le risorse non investite sprecate. Inoltre i costi imprevisti dei bail-out possono destabilizzare i conti fiscali, causando un'inflazione elevata e il crollo monetario (entrambi costosi di per sé) oltre a pesare come un peso morto sulla situazione fiscale."
Inflazione elevata e crollo monetario sono due delle frasi che gli economi del G7 sono riusciti a dimenticare durante la lunga bolla creditizia che ora sta scoppiando a Wall Street, a Francoforte e a La Defense, in tutta la City di Londra così come a Tokyo e a Sydney. Le crisi delle economie emergenti della fine degli anni 90 in Asia per lo meno hanno dato agli investitori la possibilità di proteggersi passando a valute solide quali il dollaro e il marco tedesco.
L'odierna crisi bancaria sistematica, invece, sta toccando tutte le maggiori economie sviluppate. Come fare allora per proteggersi dall'inflazione galoppante e dal rischio del crollo delle valute? Un aumento di oltre il 50% dall'inizio della crisi a metà agosto 2007 indica che l'oro (la valuta senza stato, senza rischi di controparte e di inadempienza) non può che diventare ancorra più forte.