Oro a 1.200$/oncia mentre il dollaro si stabilizza in attesa della Fed
L’oro è rimasto sui 1.200$/oncia martedì a Londra, mentre il dollaro è diminuito nel mercato delle valute e i tassi d’interesse globali sono diminuti.
Le materie prime sono in ripresa ma restano ai minimi del 2018 nell’indice Bloomberg, dopo che gli USA hanno imposto una nuova tariffa del 10% in altri 200 miliardi di dollari in beni cinesi. La tariffa entrerà invigore il 24 settembre e sarà progressivamente aumentata per raggiungere il 10% entro la fine dell’anno. Questa tariffa graduale e ridotta, che si trasformerà solo nel 2019 nel temuto 25%, è vista come un segno positivo per le trattative.
Questa notizia ha avuto poco impatto sui mercati, visto che le indiscrezioni erano già trapelate lo scorso fine settimana.
Le Borse asiatiche ed europee hanno recuperato il crollo di ieri, guidate del Topix giapponese che è al picco di sette settimane.
Il Dax Tedesco si è allontanato ulteriormente dal minimo di cinque mesi della scorsa settimana, mentre il Shanghai Composite è rimbalzato dal minimo di quattro mesi di lunedì.
Rimane stabile l’euro a 1.1696 contro il dollaro.
Il petrolio è salito sopra i 79$ al barile nel Brent, e secondo Bloomberg, l’Arabia Saudita per il momento potrebbe accetare il prezzo ad 80 dollari, in contrasto con le posizioni di intervento -per compensare alla carenza di offerta data dal Venezuela ed Iran- prese in precedenza.
Il fatturato dell’Italia, secondo l’ISTAT, è calato a luglio dell’1% su base mensile, ma mostra un +2,9% rispetto a luglio 2017.
Secondo Jonathan Butler si Mitsubishi “l’oro risente del dollaro forte, ma la direzione unica dei mercati nei confronti dei beni a rischio, nel clima economico attuale, potrebbe essere colta di sorpresa dalla politica americana. Il dollaro potrebbe risentirne, favorendo i metallipreziosi”.
“Anche con l’inflazione al target del 2% e la Fed che non ha più spazio per aumentare i tassi, ci potrebbe essere un supporto all’oro come scudo contro l’inflazione”.
Dallo scoppio della crisi dieci anni fa, i tassi d’interesse reali calcolati tenendo conto dell’inflazione si sono mossi in direzione opposta al prezzo dell’oro nel 70% di tutti i mesi.
Una ricerca di ICBC - che ha osservato l’impatto dei tassi d’interesse americani sull’oro - ha indicato che “rialzi basati sull’inflazione, quindi solo nominali e non reali, non sarebbero necessariamente uno svantaggio per l’oro”.
Ciò che conta nel prossimo meeting della Fed è qualsiasi commento sul “tasso d’interesse naturale”, abbreviato in “r*” e definito come il reale tasso d’interesse a breve termine che dovrebbe presentarsi quando l’economia è al massimo e l’inflazione è stabile”, che da agosto è stato indicato nel sito della Fed di New York con il modello Holston-Laubach-Williams.
La nota di ICBC prosegue indicando che “quello che salta all’occhio da un punto di vista economico è che non ci sono aspettative per un r* più alto, il quale comporterebbe uno sviluppo estremamente ribassista per l’oro”.