Le importazioni d’oro in Cina. Una preoccupazione per Pechino?
La forte domanda d'oro era in linea con i programmi di Pechino. Cosa accadrà con il boom delle importazioni?
Di Adrian Ash - BullionVault
L'ORO VA dove ci sono i soldi. I dati del World Gold Council divulgati la scorsa settimana indicano in maniera esaustiva lo spostamento della ricchezza relativa dall’Occidente all’Oriente che sta avvenendo durante il 21° secolo.
La somma degli acquisti d’oro da parte dei privati in Cina e India è il 50% del totale dell’oro comprato nelo scorso anno in tutto il mondo, dice il report Gold Demand Trends pubblicato dal WGC. In termini di valore la domanda di oro da parte dei privati in Cina è salita ad oltre lo 0,6% del PIL. Un dato che sembra irrilevante se paragonato all’eccezionale 2,7% dell’India, ma che è comunque triplicato negli scorsi 5 anni. Come sta reagendo Pechino?
Come nota Bruce Ikemizu della Standard Bank di Tokyo, immediatamente dopo l’ultimo capodanno lunare è entrata in vigore una normativa che obbliga gli importatori a richiedere un permesso ogni volta che ricevono un carico, non solo alla banca centrale ma anche allo State Administration of Foreign Exchange (SAFE).
“La conseguenza è che l’importazione dell’oro rallenta” dice Ikemizu. Una frustrazione per le banche che importano l’oro. La normativa è destinata a rallentare, non a frenare, l’ingresso del metallo in Cina. In una nazione in cui le esportazioni di oro sono vietate e che è il primo al mondo per produzione del metallo, la domanda d'oro sta già attenuando il surplus commerciale.
Grazie ad una produzione mineraria da record, l’esportazione di capitale necessaria per pagare il crescente appetito d’oro della Cina rimane molto inferiore a quella dell’India. È anche vero che l’India, acquirente numero uno al mondo, non ha nessuna produzione mineraria. Secondo i dati del WGC, le importazioni lorde nel 2011 hanno totalizzato 969 tonnellate, eccedendo la domanda lorda di 35 tonnellate.
L’impatto dell’esportazione di capitale è evidente nella bilancia commerciale dell’India. E quel deficit (che, come nota Morgan Stanley, è attualmente l’unico deficit della regione) ha influenzato il valore della rupia nelle piazze di scambio durante il 2011, provocando un ribasso del 15% contro il dollaro.
Tornando alla Cina, nel 2011 le importazioni solo da Hong Kong sono triplicate rispetto all’anno precedente per un totale di 428 tonnellate, quantità che supera il nuovo record di produzione che pure ha avuto un incremento del 6% rispetto all’anno precedente per un totale di 361 tonnellate, e pari al 55% dell’acquisto di oro da parte dei privati in Cina, secondo i dati del WGC.
I dati riflettono lo spostamento di ricchezza dall’Occidente all’Oriente. Eppure, arrivando subito dopo che la notizia che l’India ha raddoppiato la tassa di importazione su oro e argento (importazioni che hanno ammontato ai tre quarti dell’intero deficit dell’India nel 2011), la nuova mossa del SAFE dovrebbe ricordare a chi crede nel bull dell’oro che una domanda d’oro così massiccia può essere un pericolo per se stessa. Prima di tutto perché i prezzi possono dissuadere nuovi acquirenti (come accaduto per il settore orafo dal 2005) e, potenzialmente, per le interferenze degli Stati.
Da quando è cominciata la deregolamentazione dieci anni fa, l’oro è stato per la Cina uno strumento utile, se non vitale, per diversificare i risparmi dei privati. I deficit dei governi nazionali e la crisi del debito confermano che nel 2012 il ruolo rimane altrettanto essenziale. Ma adesso che le importazioni d’oro hanno superato la produzione nazionale, l’oro rischia di intaccare il surplus commerciale, uno dei caposaldi del modello di crescita di Pechino. Non sarà facile conciliare questi due interessi.