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Spread, crisi, uscita dall'Euro. Che futuro per l'Italia?

a cura di Phastidio.net

NON È CHIARO capire che accadrà ora in Italia, all’indomani di un esito elettorale che definire devastante è solo un pallido eufemismo. Allo stesso modo, difficile sfuggire alle banalità. Resta l’impressione di una predestinazione, nella traiettoria del paese, che non può non suscitare qualcosa di molto simile all’angoscia.

Certo, lo sappiamo perfettamente: questa Eurozona è una trappola mortale, è costruita con i piedi o meglio con altre parti anatomiche; la supplenza della Bce non potrà durare a oltranza, in presenza di marchiani errori discernitivi da parte dell’ideologia dominante, prodotta dell’egemone continentale, la Germania. Lo diciamo e lo scriviamo alla nausea. Il problema è che l’alternativa semplicemente non esiste. Già le reazioni dei mercati all’esito elettorale italiano, oggi, testimoniano della “sistemicità” del nostro paese, con onde che arrivano anche in Asia e negli Stati Uniti.

Forse siamo anche noi too big to fail, e quindi in un modo o nell’altro un cordone sanitario ce lo stenderanno attorno, ovviamente non gratis. Del resto, la nostra politica ha già fallito miserabilmente una ventina di anni addietro, sempre per cocciuta allergia alla realtà ed ai vincoli esterni (“lo spread è un inganno, non ce ne siamo mai preoccupati ed abbiamo sempre vissuto bene“). Resta il piccolo dettaglio che, in questo modo, finiremo con l’essere completamente e definitivamente commissariati dall’esterno, e questo non potrà non avvenire, checché ne pensi qualche sognatore irresponsabile e più o meno in malafede, vecchio e nuovo. A quel punto, potremo anche conservare una finzione ed un simulacro di pratica democratica (come nel caso delle ultime elezioni greche), ma sempre di simulacro si tratterà. Come nel caso greco, il paese inizierà a ricevere “messaggi” dall’esterno molto precisi e mirati, nei quali verrà spiegato, al colto ed all’inclita, cosa si rischia percorrendo fino in fondo un certo percorso. E’ altamente probabile che tali messaggi alla fine arriveranno a destinazione, anche verso quella parte di elettorato che vuole la restituzione dell’Imu prima casa, il 75 per cento delle imposte in Lombardia, crediti d’imposta anche per parcheggiare l’auto, il reddito minimo di cittadinanza “per almeno tre anni”, le patrimoniali decisive per il riscatto di un intero popolo imboscato nella foresta di Sherwood per evitare di farsi derubare, perché ricchi sono sempre gli altri. Sarà il momento dirimente in cui il fanciullino diverrà adulto, con le buone o con le cattive.

Lo sport nazionale, il corporativismo malato, quel “e loro, allora?”, che ci risuona nelle orecchie dalla Liberazione, e che ha prodotto lo sfascio civile e di finanza pubblica che abbiamo sotto gli occhi, verrà alla fine silenziato, lasciando il campo alla disperazione, più o meno rassegnata. La cosa che fa più sorridere, si fa per dire, è che oggi ci sarebbero anche le condizioni per coagulare un consenso intracomunitario decisivo per un cambio di passo nella gestione dell’Eurozona, rallentando la stretta fiscale per manifesta impraticabilità. E magari accadrà pure, sempre che i tedeschi non vogliano completare quello che non sono riusciti a fare una settantina di anni fa con l’intero continente. Ovviamente, cosa ben diversa è negoziare con un governo governante ed assertivo, ed altra farlo con una eventuale Grande Coalizione posticcia, in cui si resta assieme per pura finzione, mentre si negozia l’improbabile modifica di una altrettanto improbabile legge elettorale, peraltro non decisiva, visto che l’esprit florentin degli italiani è insuperabile nell’aggirare vincoli formali. Noi non siamo ottusi come gli anglosassoni ed i popoli del Nord, così attenti a rispettare la lettera di ciò che la comunità decide. C’è sempre una via d’uscita per gli italiani. Il problema è che (quasi) sempre quella via d’uscita semplicemente non è tale, o lo è solo nella nostra mente fantasiosa.

Quanto al resto, il solito: il costo del lavoro è destinato a crollare, per esplosione della disoccupazione (che finirà col disapplicare la contrattazione collettiva); delle celebri “tutele” di welfare, note anche come “diritti acquisiti”, già oggi pressoché formali a causa della crisi fiscale, si perderà ogni traccia. Se qualche condottiero dei nostri (tra quelli appena unti dal crisma democratico e quelli che rinascono sempre dalle proprie ceneri politiche ma ogni volta sulle rovine del paese) pensasse davvero di tentare il braccio di ferro con l’Europa ed il mondo sul rischio di nostro default, perché “se saltiamo noi, ci portiamo all’inferno anche loro”, sappia che probabilmente ha ragione, ma che alla fine vincerà camminando sui cadaveri. “Tra democrazia e stabilità finanziaria, mi spiace, ma scelgo sempre e comunque la democrazia. Il diritto di voto della casalinga di Voghera vale più di tutto il debito pubblico italiano”, ci ha scritto oggi un amico il cui giudizio teniamo in gran conto. In astratto sarebbe anche condivisibile, ma che fare quando la perdita della stabilità finanziaria distrugge l’essenza stessa della democrazia, riducendola al fondale di cartone di cui si diceva sopra?

P.S. Oggi è uscita una nota di ricerca di JPMorgan, che consiglia di entrare in modalità “risk-off”, comprando Bund. Lo scenario a cui la banca statunitense assegna maggiore probabilità è quello della grande coalizione (al 70 per cento) con un programma limitato alla riforma della legge elettorale (vedi commento qui sopra) ed un modicum di stretta fiscale per mantenere i conti in ordine, ma poco progresso sulle riforme strutturali. Anche qui, le “riforme” verranno da sole, per cedimento strutturale dell’economia e della società italiana. Il secondo scenario di JPM (probabilità al 15 per cento) prevede un governo Pd-Sel-Monti con “annessione” di senatori da Pdl o M5S. Terzo scenario, anch’esso al 15 per cento, scioglimento immediato delle camere. Immediato si fa per dire, visto che prima di maggio non sarà tecnicamente possibile. In attesa di capire che fine faremo, partecipate anche voi al nuovo gioco di una società spacciata.

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